lunedì 22 aprile 2024

Maria Rizzi su “Il merito del mezzo” di Franco De Luca - Narratori Rogiosi.

 


Abbiamo presentato presso il Caffè Letterario Horafelix il romanzo di Franco De Luca “Il merito del mezzo”, edito dai Narratori Rogiosi, il quarto che leggo di questo prolifico Scrittore napoletano, e credo che mi accompagnerà per sempre. Non si tratta, infatti, di un libro, che ci si può concedere di leggere e posare sul comodino. Resta tatuato nell’anima per le suggestioni, le immagini, i messaggi, le lezioni di vita. Una crescita ulteriore per Franco, che con testi come “La chiameremo vita” sembrava essere giunto all’apice dell’esperienza creativa. Innanzitutto, ribadisco il concetto espresso in quarta di copertina dall’ottimo Nando Vitali, secondo il quale ‘il suono delle voci sembra salire dalle quinte di un teatro nella polifonia misteriosa della vita.” Il romanzo è corale, non si possono trovare personaggi, solo protagonisti, un’Opera circolare nella quale le storie si susseguono e si intrecciano con maestria. Lo sfondo è ancora e sempre la città di Napoli, che consente a Franco di sentirsi a casa e di concepire ambientazioni e personaggi venati dai caratteri tipici del nerbo narrativo dello scrittore: senso dell’ironia, umanità calda, ricca di pathos, sentimenti di solidarietà. Inoltre l’intero testo è pervaso da un senso inquietante e persuasivo di mistero, una tunica che avvolge  i lettori e attrae in modo irresistibile. Napoli non è la protagonista. Sono presenti le frasi in dialetto, le scene tipiche della vita partenopea, ma la città è riassunta, forse, dalla descrizione dell’avvocato Beretta, torinese di nascita, dirigente di un grande studio legale, che una volta trasferitosi a Napoli comincia a soffrire di esaurimento nervoso, eppure dopo la lunga attesa della pensione non fa altro che rimandare la partenza. “Aveva con Napoli un rapporto altalenante: a volte la amava, a volte la odiava… Un po’ come tutti i napoletani”. - estratto del libro. Il romanzo si apre regalando al lettore l’impressione di trovarsi in prima fila mentre si schiudono le quinte di una commedia del grande Eduardo De Filippo. I personaggi, Augusto, Amedeo e Davide possiedono le caratteristiche di tali rappresentazioni: un protagonista, ‘una spalla’, funzionale al protagonista e un giovane dotato di un ‘dono’, che permettono di calarsi nell’atmosfera divertente e venata di malinconia tipica delle Opere dei Maestri dell’arte teatrale napoletana. Non manca la donna avvenente e custode, come Augusto, di un mistero che, come tutti i segreti, è noto ai più: Virginia Piscitelli, vedova del senatore Annibale, che riempie in seguito interi capitoli e si eleva in tutta la sua grandezza morale. Il titolo dell’Opera, che è ben spiegato nella chiusa - diciotto pagine di altissima poesia, che trafiggono l’anima e lasciano letteralmente senza fiato -,  non poteva essere più indovinato. Tramite lo scavo psicologico che Franco attua di ogni personaggio si evince che ognuno di loro rappresenta un tramite per favorire qualcuno o qualcosa. Il concetto è spiegato molto bene dalle parole del muratore Agostino Esemplare, altro ‘eroe’ della vicenda, rivolte al commissario Petrillo: “Non vi è mai capitato di sentirvi parte di un progetto più grande? Di vedere che intorno a voi accadono cose che si incastrano perfettamente tanto da favorire un determinato avvenimento? Di sentirvi una specie di… come dire? - una specie di pedina mossa sulla scacchiera di un’intelligenza superiore?” La settimana di eventi, che si svolgono nel quartiere di Santa Caterina, nel cuore del centro storico di Napoli, vede un intreccio letterario che sembra statico, ma è in levare a ogni respiro. Le vie, i vicoli, il chiostro, l’edicola della Santa palpitano insieme ai battiti anarchici dei protagonisti delle storie, che simbolizzano elementi caratteristici della storia di Napoli, del suo presente, a tratti cattivo come i passi dei diavoli, e del suo passato, per sempre vivo nelle anime degli abitanti. Come in un carillon, che resta ‘teatro a cielo aperto’, la musica muove le scene al ritmo dei sentimenti e il bene controlla il male con celata costanza. Il commissario Petrillo, il pescivendolo Raffaele e il già citato Agostino custodiscono il bene, sono inconsciamente devoti a cause più grandi dei loro intenti. E torna il concetto del ‘merito del mezzo’, che implica l’inconsapevolezza di coloro che compiono le azioni e divengono strumenti per il conseguimento del bene comune.  Nel testo esistono tre figure che regalano la misura dell’universo interiore di quest’Autore: Davide e il suo ‘dono’, un giovane rimasto in coma a lungo, che trascina una gamba e riserva non poche sorprese; Caterina, figlia del pescivendolo Raffaele, dodicenne destinata a vivere in carrozzina, muovendo in modo disarticolato le braccia e forse ridendo alle premure degli amici del quartiere; Paolo, detto Paolone, alunno del professore delle medie Dario Morelli, che è affetto da un ritardo e diviene ‘mezzo’ per una vicenda centrale ai fini del romanzo e della vita del suo professore di musica. Creature affette da debolezze, che Franco trasforma in punti di forza, rendendo i tre ragazzini infinitamente cari ai lettori e abbattendo, senza stereotipi, le barriere per creare ponti. La capacità di penetrare nei meandri delle anime dell’Autore diviene sconvolgente quando descrive la figura del senatore Annibale Piscicelli, che cresce a dismisura dinanzi agli occhi dei lettori soprattutto quando definisce l’amore: “Amore  sono due ali, Dario, due ali che spuntano tra le scapole squarciando e dilaniando le carni. Dolore e sangue, dunque, ma anche l’unico modo per librarsi in volo, e osservare dall’alto quanto sia meravigliosa e tragica la vita, e anche quanto siano piccole le orme che lasciamo sulla terra.” Di diamanti simili l’Autore ne semina moltissimi nel corso di quella che amo definire una parabola, dimostrando ai più che per diventare scrittori non basta presumere di possedere la scintilla creativa, occorre sapersi cimentare in qualcosa di grande che lasci sulla terra ‘orme indelebili’. “Il merito del mezzo” possiede il lettore, lo rende schiavo felice dei suoi poteri, diviene mezzo per credere che “La vita è un calcio d’angolo” - musica e testo scritti dal professor Dario Morelli -, e per osservare il cielo nella certezza di scorgere due grosse cicogne che rendono belli i quartieri - dormitori in cui viviamo, le nostre case, le vite che troppo spesso ci sembrano prive di senso.

                                                

Maria Rizzi